NOBBY

NOBBY STILES, OVVERO PER FAVORE NON MORDERMI LE CAVIGLIE

PALLA O UOMO, O ENTRAMBE.

«Benvenuto nella mia casa! Entrate libero e franco. Andatevene poi sano e salvo, e lasciate alcunché della felicità che arrecate!»
(Dracula-Bram Stoker)

Provate ad immaginarvi in una semifinale del mondiale del 1966, quelli in terra d’Albione, dei Beatles e delle voci di oggi che danno già allora Carlo capace di ingravidare Camilla, del goal fantasma di Hurst che decide una finale.

Provate a mettervi per un istante nei panni della Pantera Nera, al secolo Eusebio Da Silva Ferreira, un tipo da 733 goal in 745 partite ufficiali, Pallone d’Oro 1965, uno dei migliori calciatori di tutti i tempi e di quel Portogallo che contende ai padroni di casa inglesi l’accesso alla finalissima.
Ora provate a immaginare che ad aspettarvi in campo, per la squadra avversaria, ci sia un tipetto basso, tarchiato, occhi miopi aiutati da fastidiose lenti a contatto e che vi accolga con un sorriso a due denti, che fa tanto di Christopher Lee/Dracula quando pregusta il sangue caldo della prossima vergine.
E che sappiate già che vi aspetta una gara di assoluta sofferenza, fatta di entrate dure al limite della legalità da parte di quel “vampiro” che cercherà di mordervi le caviglie e vi succhierà le vostre riserve d’aria in virtù a dei polmoni che sono mantici da fonderia.

Palla o uomo, a volte tutte e due, questo il credo calcistico del “vampiro” che è poco propenso a rendere felice il soggiorno di chiunque incontri sul prato verde.
Che sia Eusebio o altri, la missione è sradicare il pallone e catapultare la propria squadra nella metà campo avversaria.
Ed in questo Nobby Stiles, il “vampiro”, è bravo, e cattivo, come pochi.

Per questo quando lasci la sua casa, che altro non è che un campo di calcio, con qualche ammaccatura sì, ma sano e salvo, hai ragione ad essere felice.

Per questo ogni partita contro di lui sembra far da sfondo calcistico al film di Roman Polanski che uscirà un anno dopo quella semifinale, l’horror vampiresco tra il surreale e il grottesco di «Per favore non mordermi sul collo»

UN FISICO BESTIALE.
«Ci vuole un fisico bestiale/ Per resistere agli urti della vita/ A quel che leggi sul giornale/ E certe volte anche alla sfiga/ Ci vuole molto allenamento sai, allenamento sai/ Per stare dritti controvento sai, allenamento sai»
(Un fisico bestiale- Luca Carboni)

E che Nobby Stiles, il “vampiro” del Manchester United di Matt Busby, Bobby Charlton e George Best, dell’Inghilterra campione del mondo 1966, il fisico bestiale lo abbia avuto non c’è dubbio.
Frutto di una sfiga da bambino che diventa forza interna da grandicello.
Nobby è basso, tarchiato e talmente miope che più che occhiali i suoi sembrano fondi di bottiglia.
Cade da bambino, si rompe quasi tutti i denti davanti e i suoi genitori sono troppo poveri, operai in un quartiere operaio, per poterteli sistemare se non attraverso una dentiera..
Così, sin da piccolo, quando giochi a pallone nel tuo quartiere oppure nelle giovanili del Manchester devi usare delle lenti a contatto e toglierti la dentiera, che potresti ingoiare.
E quei due denti, stipiti dell’antro cavernoso della bocca, fanno paura, come quei personaggi dei film horror della Hammer di quel periodo.
Personaggi come il Christopher Lee/Dracula, vampiro orribile e incubo della nostra infanzia.

Però, se l’aspetto fa la sua parte, è il campo a svelarti il vero pericolo che corri ad affrontare Nobby.

Non un dribbling velenifero o una tecnica incantatrice ma una tenacia fuori dal comune, rapidità, aggressività, capace di interventi al limite del codice penale, con la dote non comune a tutti di far ripartire l’azione.

Uno stile di gioco operaio che rispecchia Nobby nella sua infanzia, nella sua condizione sociale, nel suo quartiere.

Poi ci sta che uno come il nostro Nobby trovi il suo Peter Cushing/ Van Helsing, che ti esorcizza non con un crocifisso ma con un pallone, e invece di liquefarti ai raggi del sole, contro tutto e tutti ti dona la luce del panorama calcistico professionistico, cosa che ti rafforza ancora di più.

E il professore Van Helsing di Nobby riveste i panni di Sir Matt Busby che vuole ricostruire il suo Manchester United dalle ceneri, quelle purtroppo vere non cinematografiche, di quello precipitato a Monaco di Baviera.

Una tragedia come quella del Grande Torino.

Vicino a gente come Denis Law, George Best e Bobby Charlton, Nobby sembra essere il Calimero non invitato alla festa.

Invece è il completamento ideale, l’operaio che rende libero l’artista.

Lo capisce anche Alf Ramsey, colui che è chiamato a vincere i mondiali in casa del 1966.

E lo farà, avvalendosi delle parate di Gordon Banks e della capacità difensiva Jack Charlton e quella offensiva di Bobby Charlton.

E della tigna sull’avversario e della capacità di ribaltare l’azione del “vampiro” Stiles.

Che la Federazione inglese vorrebbe fuori da quella semifinale col Portogallo perché per loro non rappresenta appieno lo spirito del calcio d’Albione.

Ma Ramsey difende Nobby, minacciando addirittura di dimettersi con tutto il suo staff.

Anni dopo chiarirà il perché: «In quella squadra avevo cinque fuoriclasse, e Stiles era uno di quelli».

E Nobby sarà cruciale, tacitando di nuovo Eusebio, come George Best e Sir Bobby Charlton, nella vittoria del Manchester United della Coppa Campioni dello United nel 1968, battendo il Benfica per 4-1 in finale.


QUASIMODO E ESMERLDA

«Nobby era quello che ora chiameresti un cacciatorpediniere a centrocampo. Non ha preso alcun prigioniero e, a dire il vero, penso che Eusébio avesse un pò paura. Penso che ci fosse una parte di lui che non gli piaceva.» (Terry Paine, campione del mondo del 1966)

Guardi le sue immagini di ieri e te lo immagini oggi in mezzo a quelli dal fisico scultoreo come CR7, quelli dal ciuffo perennemente impomatato e settimanalmente rinnovato dei modelli che calcano oggi i campi della serie A, oppure quelli con il corpo trasformato in catalogo per tatuatori.
No, Nobby Stiles sarebbe rapportato a questi come Quasimodo ad Esmeralda.
Eppure Nobby Stiles, piedi ruvidi, occhi miopi e denti mancanti, è stato il complemento ideale, in campo, per Bobby Charlton e George Best , i CR7 e gli Ibrahimovic dell’epoca, i belli e bravi di un epoca dove la sostanza era più importante della forma.
E dove quelli belli e bravi, come Best o Rivera, magari da soli non bastavano se alle loro spalle non avessero avuto i custodi della cattedrale della propria area di rigore, i Quasimodo del tackle e della “palla o uomo”, quelli dei “sette polmoni” spesi a correre per gli altri come li omaggia Ligabue.
Insomma i Lodetti e gli Stiles, che non sono propriamente degli Adoni.
Anzi, se ti sorridono, come Stiles, ti senti catapultato in un film horror della Hammer, di quelli che, negli anni ’60, andavano di moda con Christopher Lee vampiro e incubo della nostra infanzia.

Perché il calcio è fatto di storie dove ci sono alcuni giocatori che di per sé hanno dato contributi molto importanti nel mondo del calcio, non in termini di giocate, goal o parate, ma per spirito di abnegazione, tenacia, lotte contro tutto e tutti.

Una di queste storie è quella di un ragazzo che ha superato numerosi ostacoli e sfidato il destino.

Il suo nome è Nobby Stiles e chiedete ad Eusebio se non mordeva le caviglie.

 

 

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