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NOI CHE ASCOLTAVAMO LE VOCI

IL PRIMO RITO DOMENICALE

«Io e i miei cassetti di ricordi e di indirizzi che ho perduto/ Ho visto visi e voci di chi ho amato prima o poi andar via / E ho respirato un mare sconosciuto nelle ore »
(Strada facendo – Claudio Baglioni)

Una radiolina, delle batterie sempre pronte a dare il cambio a quelle esauste e un paio di ore dove il tuo regno era invalicabile.

Le domeniche pomeriggio, da bambino prima e ragazzo dopo, non necessitavano di molto altro.

Forse un pallone, degli amici e una partitella, ma la radiolina era sempre presente, buono o cattivo fosse il tempo, dentro o fuori casa, da solo o con gli amici e i parenti.

Una fedele compagna, riassunto di una gioventù che coltivava sogni anche attraverso dei riti che avevano poco di scaramantico, molto di attesa, tanto di immaginazione.

Anche attraverso delle voci narranti.

Già, perché da essa non uscivano solo le canzonette o le notizie, ma le voci, ora delizia ora croce, che ti spiegavano il colpo del campione, il goal del centravanti, la prodezza del portiere, il fischio di Trapattoni, le proteste di Turone, il ritorno in campo di Pablito, le urla di dolore di Carletto Ancelotti.

Quelle voci che attraversavano l’etere, penetravano le mura delle case alla ricerca del padre o del nonno all’ascolto, dissipavano le spirali di fumo di bar e circoli tra una bestemmia per una mano di carte giocata male e l’esultanza di un goal, attraversavano come spifferi di vento vicoli, campi di campagna e stradine per raggiungere il ragazzino che giocava in strada e finanche la coppietta appartata.

Quelle voci che, dal 10 gennaio 1960, cambiano le domeniche degli italiani, forgiano quelle delle prossime generazioni fino all’avvento delle pay tv, delle trasmissioni fatte più di culi, tette e gambe scosciate che di cervelli pensanti e professionisti del calcio parlato.

Una trasmissione, “Tutto il Calcio minuto per minuto”, che è un contenitore di sogni, che ti catapulta, attraverso quelle voci, non su un solo campo di calcio, ma sugli spalti, dietro la porta, sulle linee di fondo e tra le riserve in panchina di tutta Italia.

E così impari ad associare ad ogni voce un volto: Ameri, Ciotti, Provenzali, Luzzi e Ferretti e tanti altri che verranno dopo come Beppe Viola, Riccardo Cucchi e Carlo Nesti.

Impari ad aspettare la partita nella partita: l’assist di Provenzali a Ferretti nel passaggio della linea, il goal segnato ora da Ameri, ora da Ciotti, annunciato dal classico «Scusa Ciotti, Scusa Ameri», la genialità del tocco di classe nel linguaggio ironico e perspicace di Beppe Viola, la parata di Luzzi dai campi di serie B che allora era un prolungamento della serie A.

E impari ad amare il tono cordiale e aristocratico di Ameri, la voce roca di Ciotti, frutto di sigarette e radiocronache infinite, l’enfasi di Provenzali, il tono essenziale e professionale di Luzzi e via dicendo.

«Ha diretto Lo Bello davanti a 80.000 testimoni» per un rigore negato al Cagliari di Gigi Riva, così si espresse Ciotti in un infuocato dopo partita.

Classe innata non unica in quel mondo dei radiocronisti, dei narratori della nostra fiaba domenicale, che trovano nell’ironia non una fastidiosa eccezione, ma una simpatica compagna, di quelle che sdrammatizzano, non aizzano gli animi di chi, dall’altra parte dell’etere, può solo immaginare ciò che il radiocronista ha visto e che dipinge, con maestria, all’ascoltatore come se quest’ultimo fosse presente sul campo.

E’ un altro calcio, quello dell’epoca della radiolina, che diventa prosa con gli sbuffi d’inchiostro di Gianni Brera o di un Italo Cucci, di un Beppe Viola che, dalla radio alla televisione, dal radiocronista al giornalista, attraverserà tutte le fasi di quei tempi.

Sua la frase che darà via a un divertente jingle su Evaristo Beccalossi, fantasioso centrocampista dell’Inter poco nelle simpatie di Enzo Bearzot: «Mi chiamo Evaristo, scusi se insisto».

E’ un altro calcio epicamente raccontato in radio prima e TV dopo dall’antesignano di tutti, Niccolò Carosio, e che troverà in Pizzul e Martellini i suoi degni eredi, nei Adriano De Zan e Sergio Davoli fulgidi testimoni di tutto il mondo sportivo, sopratutto quello in bici.

Un triplice «Campioni del Mondo», in una magica notte al Bernabeu, può diventare storia da narrare come l’«Eppur si muove» di Galileo Galilei, oppure prosa indelebile quanto «Quel ramo del Lago di Como..» di Manzoni o un capolavoro come il dantesco « Nel bel mezzo del cammino di nostra vita…»!

E’ un altro calcio, dove giornalisti e calciatori diventano protagonisti della TV e radio italiana senza però ammalarsi di protagonismo, senza vincoli o ostacoli per un’intervista, domande dirette e mai banali, dove i primi sono sì amici dei calciatori ma anche professionisti dell’informazione.

Tutti insieme formano la sintesi perfetta del giornalismo sportivo, cultura (sì, perché definirli solo radiocronisti è riduttivo) e calcio che vanno a braccetto, tra una dissertazione musicale di Ciotti (vero esperto in campo musicale) e una citazione filosofica di Ameri.

Oppure lo sberleffo ironico di Beppe Viola o la penna velenosa di Gianni Brera, perché ad essere ironici ci vuole intelligenza per non scadere nella farsa.

IL SECONDO RITO DOMENICALE

«Un’estranea cavaliera/ È il rito di ogni sera/ Perso al caldo del pois di san soucì»
(Che cos’è l’amor – Vinicio Capossela)

Le voci delle domeniche della nostra infanzia o della maturità dei nostri genitori, trovano la loro sublimazione, la prova confutata che ciò che quanto da loro narrato è realtà nei fatti, dieci anni dopo quel fantastico primo pomeriggio del 1960.

E’ il 1970, infatti, e un altro grande dello sport in TV, Paolo Valenti, si inventa “90° minuto”, la trasmissione che regola le nostre consuetudini domenicali.

Già perché c’è un lasso di tempo, due ore circa, dalla fine di “Tutto il Calcio Minuto per Minuto” e l’inizio di “90° Minuto”, nel quale milioni di italiani adeguano le loro toilette e le loro uscite, obbligatoriamente prima o dopo la trasmissione di Valenti, mai durante.

Questo in un epoca (che oggi sembra preistoria) nella quale il calcio non era uno spezzatino, ma una tavolata, dall’antipasto al dessert, da consumare tutti insieme e sempre a partire dalle 14,30.

Paolo Valenti già, il volto cordiale e sorridente che accompagna tutta una generazione, maestro cerimoniere di una televisione dove si parla di calcio e che di cosce mostra solo quelle degli atleti.

E con lui Beppe Viola, Gianni Vasino, Luigi Necco, Beppe Barletti, Tonino Carino, Bisteccone Galeazzi, e tanti altri ancora che portano i goal, e quelli che oggi chiamiamo “highlights” ma allora erano semplicemente le “azioni principali”,delle nostre squadre del cuore in TV, ci inchiodano a casa in attesa del secondo rito domenicale, dopo quello della radiolina.

Il tempo di narrarci le gesta di Gigi Riva, Gianni Rivera, il goal di tacco di Bettega, l’intervento risolutivo di Scirea, l’elevazione di Pruzzo, il calcio di punizione di Zico, la genialità di Maradona, l’eleganza di Platini.

E di sfiorare, in famiglia, continue crisi coniugali con le nostre mogli o fidanzate, che vedono sempre più ridotto il loro spazio per lo svago domenicale.

E’ un grazioso antipasto a quello che ci proporrà la sera, più corposamente, la “Domenica Sportiva” dei vari Enzo Tortora, Carlo Sassi, Tito Stagno

Ad ogni sogno, però, corrisponde anche un lato oscuro.

E il calcio, di lati oscuri, ne ha, eccome.

Ecco quindi arrivare nelle nostre case le immagini della morte di Renato Curi, il dramma di Vincenzo Paparelli, le volanti della polizia a prelevare i calciatori coinvolti nel calcio scommesse, la paura per lo scontro tra Antognoni e Martina, la morte di Gaetano Scirea che sarà proprio Ciotti ad annunciare, passato intanto alla conduzione della Domenica Sportiva.

E anche notizie terribili come il malore, che condurrà alla morte il giorno dopo, accusato da Beppe Viola mentre sta montando un servizio di Inter-Napoli del 17 ottobre 1982 (8 giorni dopo il mio 14° compleanno).

Per la prima volta capisci forse che quelle voci sono tutto fuorché immortali, sono eteree ma fatte di drammi e dolori del tutto umani.

«Era nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i bordelli. […] Povero vecchio Pepinoeu!Aveva un humour naturale e beffardo: una innata onestà gli vietava smancerie in qualsiasi campo si trovasse a produrre parole e pensiero. Lavorò duro, forsennatamente, per aver chiesto alla vita quello che ad altri sarebbe bastato per venirne schiantato in poco tempo. Lui le ha rubato quanti giorni ha potuto senza mai cedere al presago timore di perderla troppo presto. La sua romantica incontinenza era di una patetica follia. Ed io, che soprattutto per questo lo amavo, ora ne provo un rimorso che rende persino goffo il mio dolore…» (Gianni Brera sulla morte di Beppe Viola)

I RITI DISSACRATI

«In mezzo alle carte di oggi/ Ho trovato una semplicità/ Perduta da troppi anni»
(Stringimi forte amore – Alex Britti)

Cosa ci è rimato oggi di quelle domeniche e di quei riti?

Ben poco, triturato nel macinino di un calcio spezzettato che, di fatto, ha perso magia seppur amplificando l’attesa.

Le voci continuano a percorrere l’etere, ma sempre meno entrano nelle case, meno dissolvono volute di fumo (anche perché nei locali pubblici ora non puoi più fumare), trovano sempre meno ragazzi disposti a correre dietro a un pallone con un orecchio alla radiolina ma sempre più anestetizzati davanti a un videogame con le telecronache preimpostate di Caressa o Bergomi.

Trasmissioni come 90° minuto o la Domenica Sportiva creano sempre meno disagi nelle coppie, soppiantati da abbuffate di calcio in TV, scadente come lo sono questi tempi.

Quella compenetrazione totale, anche attraverso quelle voci e quei volti, tra città e squadra di calcio, giornalisti e tifoserie non esiste più, perdendo di fatto, il calcio, due sue risorse principali, la passione ed il seguito della gente.

Ne è la riprova il fatto che i bambini di oggi non seguono e non praticano il calcio con lo stesso trasporto e lo stesso coinvolgimento di noi bambini di quarant’anni fa (ma anche solo venti anni fa).

E che quelle voci, quei volti, non li accompagnino più nei loro pomeriggi domenicali qualcosa dovrà pur significare in questo cambiamento generazionale.

Quelle voci, quei volti, appartenevano a maestri di giornalismo, di linguaggio e di oratoria impareggiabili.

Con i loro errori, certo, e anche qualche orrore, ma di una spanna superiori a quanto viene propinato oggi.

Gente che frequentava Jannacci, Trilussa e Luigi Tenco, dissertava di filosofia e musica con egual capacità di quanto raccontava le gesta di un calciatore, ironica e seria al momento giusto.

Il calcio moderno, lasciatemelo dire, è il giusto compagno d’una gioventù che non ha sogni.

Oppure è vero il contrario.

Dazn, Sky, gare il venerdì, il sabato, il lunedì ci hanno tolto quella magia, quell’attesa della fiaba raccontata da quelle voci e immaginata nelle nostre menti.

Culi rifatti, tette esposte, gambe scosciate soppiantano la professionalità e camuffano l’insipienza di chi vuol parlare oggi di calcio senza carpirne la poesia insita in esso.

E allora io vi lascio con le parole di Sandro Ciotti, uno che nella sua vita professionale ha raccontato 40 edizioni del Festival di Sanremo, 14 Olimpiadi, 9 Tour de France e oltre 2.400 partite di calcio.

Era il 12 maggio 1996, The Voice appendeva il microfono al chiodo, così come un calciatore appende gli scarpini, di “Tutto il calcio minuto per minuto”:

«Quella che ho tentato di chiudere è stata la mia ultima radiocronaca, soltanto dieci secondi per dirvi un grazie affettuoso a tutti gli spettatori, mi mancheranno!»

Anche tu Sandro, anche gli altri, a tutti noi!

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