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Regeni, Arrigoni, Alpi: il mantra del silenzio

Dapprima furono i sette marinai di una nave italiana in Algeria, massacrati nel sonno.
Poi fu Ilaria Alpi e Miran Horvatin.
Poi toccò a Calipari.

E da lì giù a cascata.
Angelo Frammartino, Vittorio Arrigoni, Enzo Baldoni.
Mettiamoci pure Fabrizio Quattrocchi, anche con modi e moventi diversi.
Fino ad arrivare, tralasciando qualcuno, a Giulio Regeni.

Padri, mariti, figli nostri.
Massacrati, sgozzati, torturati per motivi che non conosceremo mai davvero.

Perché la verità fa male.

Ai governi, all’economia, ai rapporti sotterranei fra poteri dei quali abbiamo solo sentore, ma dei quali non comprendiamo la reale forza.

Parti per lavoro, parti per un ideale e ti ritrovi catapultato da Oxford al Cairo, a Gaza, in Somalia o in uno qualsiasi altro posto dannato di questa terra.

Già, perché i posti dannati esistono, su questa terra lacerata da mille guerre.

E dove il messaggio è chiaro : state lontani, gente di un occidente che crede di potersi farsi fotografare con un gatto o un basco tranquillamente, solo perché credete nei vostri ideali.
Siete in paesi dive il vostro amico è un fantasma che può diventare il vostro assassino, dove la sola esistenza individuale è sottoposta all’arbitrio e alla più inumana delle crudeltà.

E da dove non torni più.

Alcuni fra un silenzio a singhiozzo, altri fra l’assoluto silenzio.
Perché è meglio così.

Quando morì Arrigoni, il 15 aprile 2015, stampa e televisione appena ne parlarono.
Quando la salma arrivò a Fiumicino non c’era nessuno ad aspettarlo, a poggiare le mani sulla sua bara, se non i suoi parenti.
Meglio parlarne meno possibile.

E quando invece ne devi, forzatamente, parlare, tanto vale farlo confondendo le acque e costruendo nuovi capri espiatori, inventando (o rivelando, chissà) vite parallele delle vittime alla James Bond o cercando appigli alla discarica della ragion di stato.

Come se poi essere un agente segreto di chissà quale organizzazione giustificasse il massacro compiuto su quei corpi, la volontaria scelta, di un governo, di soprassedere alla ricerca della verità.

I marinai, Alpi, Arrigoni, Regeni: nomi, volti di una inquietante cantilena narrante gesta di piccoli, forse, eroi e di grandi, certi, orrori.

Che potremmo declinare come un mantra, ripetitivo nella sua oscurità di una verità mancante, di una giustizia mai realmente cercata, di un ignominioso abbandono di chi dovrebbe salvaguardare almeno i sopravvissuti alla barbarie di aver perso un padre, un marito, un figlio.

Come se non ci bastassero i nostri, quelli tutti nazionali, come i Cucchi, i Pera, gli Aldrovandi, gli Impastato, i Siani, le Orlandi, e via dicendo.

Un mantra continuo, ripetitivo, ossessivo.
Fino alla prossima vittima.

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