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La retorica delle retoriche

LA RETORICA DELLE RETORICHE.
Che nessuno debba morire in questo modo è lapalissiano e non ci piove.
Che questi disgraziati, tra i quali bambini (ma io come genitore mi metterei con loro su una tinozza simile, per quanto disperato?) siano stati quasi un avvertimento, puzza lontano meno delle poche miglie nel quale sono affogati (strano, acque costiere, niente motovedette, ne dormi o imbarcazioni ong nelle vicinanze, un posto scelto chissà perché defilato).

Detto questo la retorica del coltan (non cobalto), dello sfruttamento ai quali li abbiamo soggetti, la vendita di armi per fomentare le loro guerre intestine a nostro uso è consumo, il colonialismo, è di assoluta realtà, per carità, esiste da anni, da secoli e non ha impedito a nessuno di noi di rinunciare, per dovere morale, a cellulari, pc, macchine fotografiche digitali o strumenti medici.

Né ci fa aprire il portone di casa ad uno, dicasi uno (siamo 15 milioni di famiglie
quindi potremmo accogliere 15 milioni di profughi, altro che numeretti e qualcuno, di quelli buoni, risponde che paghiamo le tasse anche per questo perché “purché a quattro palmi dal mio culo, chi fotte fotte”).

Questa retorica ci permette di indignarci se muoiono ma non di salvarli da ciò che viene se sopravvivono:miseria, prostituzione, illegalità, caporalato e etc.
Senza contare che poi ci indigniamo pure se troviamo un marito di questi al mare e la sua donna col burqa a riva, perché una volta salvati chissà perché abbiamo la pretesa di condannare i loro usi, giusto o sbagliato che siano.

Perché dal momento che sopravvivono lo smartphone o il pc ce lo siamo guadagnati, e i veri morti, che cadono come mosche mangiati poi da mosche, in Africa, giornalmente, quelli li possiamo ignorare.
E vi assicuro che altro che di tre bambini che parliamo.E
Ma non è nel numero la qualità, precisiamo.

Torno a ripetere che però bisogna salvare tutti, prima, durante e dopo.

Dell’emigrazione italiana, altra retorica usata a man bassa, invito ad approfondire , studiare e informarsi su che inferno era Ellis Island per chi arrivava in America (un paese una nazione immensa, che ancora oggi permette il visto x lavoro alla piu alta percentuale di immigrati), in piena crescita allora.
Genitori separati tra loro e dai figli anche per una semplice carie o scabbia.
Le acque gelide di fronte alla statua della
Libertà (che acida ironia!)sono piene di corpi di poveri disgraziati che, vistosi opporre il rifiuto di entrare, hanno cercato di raggiungere la riva a nuoto.

In Argentina siamo emigrati a strappare terra e pietre in una terra scarsamente abitata, tanto che siamo la percentuale oriunda maggiore in SudAmerica.

In Brasile andammo quando fu abolita la schiavitù dei neri nelle piantagioni, perché costavamo più poco.

In Belgio siamo andati a morire, di crollo o di tubercolosi o di tumore, nelle miniere di carbone per un patto scellerato tra Stati (carbone a buon prezzo, manodopera che i Belgio si sognavano neppure di mettere in quei buchi infernali).

Stessa cosa dicasi in Australia e vi raccomando il razzismo verso quei italiani che tanto sembrano oggi fare schifo (no nigger, no dogs, no italian, terzi dietro i cani nei cartelli fuori alcuni locali nei democratici USA) a chi una proprietà in Italia se la trova anche grazie ai loro sacrifici.

Quindi termino questo lungo post affermando che non è con le retoriche con i paraocchi dei cavalli che si risolvono le cose, e sopratutto questo dramma.

Qui non è da fermare il giusto bisogno di cercare una vita migliore, ma il come, combattendo ed eliminando questo sporco traffico di carne che vede impegnati e interessati malavita di entrambe le sponde del Mediterraneo e parti politiche, economiche e sociali che hanno il loro tornaconto in termini di affari e rivisitazione dei diritti fondamentali degli uomini (altrimenti l’altrettanto moralista sig.re Della Valle non farebbe le sue costosissime scarpe in India, Thainlandia, e via dicendo).

Sarà una guerra lunga e comporterà morti, anche innocenti.

E quando sei in guerra, ma sei convinto della sua giustezza (se mai ce ne fosse una in una guerra) devi avere il coraggio di portarla fino in fondo, anche ai tragici limiti di Hiroshima e Nagasaki, in termini di sacrifici (non sto parlando di usare l’atomica, è solo un termine di confronto sulla tragicità di decisioni da prendere).

I 100 morti ieri non sono unici ma si aggiungono alle migliaia degli anni trascorsi e si sommeranno alle migliaia, in terra e mare, che cadranno nei prossimi, se continuiamo ad ignorare questa battaglia, per altri tornaconto che non sono le retoriche sopra citate, come fatto negli anni precedenti.
Si vis pacem, para bellum.
Avanti, adagio, fanculo.

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