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La storia e la “parentela culturale”
Un’analisi approfondita delle civiltà antiche spesso può mettere in imbarazzo gli studiosi “ortodossi”, i quali vengono, sempre più frequentemente, a trovarsi dinanzi ad elementi e prove che sembrano testimoniare particolari rapporti di “parentela culturale” anche fra popoli divisi non solo da confini di terra, ma persino da confini acquatici, sotto forma di oceani, tanto che spesso nessuna civiltà antica può essere indicata esattamente come “fonte di origine” per tali straordinarie verosimiglianze.
Si potrebbe spiegare il tutto ponendo come punto di principio l’esistenza di una civiltà che sia stata una base comune per tutte le altre, ipotesi certamente odiata e ripudiata dagli studiosi ortodossi, che reputano tale ipotesi solo frutta di alchimie immaginative.
Eppure ecco che al di là e al di qua dell’Atlantico, nelle Americhe, come in Europa, in Asia come in Africa, circa 12000 anni fa, succede qualcosa di meraviglioso, se vogliamo dar retta alla cosiddetta ipotesi della “coincidenza culturale”, tanto cara agli scienziati ortodossi, ma che, a ben analizzarla, sta in piedi come la possibilità di vincere al totocalcio senza sapere l’esatto ordine delle partite.
Secondo questa teoria, dopo centinaia di millenni di lenta, lentissima e quasi irritante evoluzione, improvvisamente, alla fine di quel periodo conosciuto con il nome di Pleistocene (per l’appunto circa 12000 anni fa), qualcosa sembra impossessarsi di tutte le menti degli uomini di quel periodo, come se ad un certo tratto della storia paleolitica qualcuno avesse acceso una lampada la cui luce si fosse diffusa per tutto il mondo.
Popoli diversissimi fra di loro, distanti mari e montagne danno vita alla grande avventura culturale che li porterà ad inventare e migliorare la pastorizia e l’agricoltura,e , ad esse connessi ,nuovi attrezzi di lavoro; nello stesso contempo, nei due versanti dell’Atlantico come in altre parti del mondo, l’ingegno umano si fonde in un tutt’uno nell’ideazione di strutture architettoniche, politiche e sociali consimili.
Come se non bastasse popoli lontanissimi fra di loro percepiscono ed elaborano miti ed eroi del tutto simili.
Coincidenza culturale e basta?
Possibile che si tratti solo di una coincidenza culturale? O, forse, sotto c’è qualcosa d’altro? Magari un grande disastro, elemento presente in tutte le mitologie mondiali, potrebbe aver annientato una civiltà di livello superiore a quelle presenti nel paleolitico e averne disseminato i resti, in virtù di piccoli gruppi di sopravvissuti, nel mondo, similmente a quello che accade al polline ed ai fiori?
Sembra un’utopia? Potrebbe esserlo, ma sicuramente non meno della cosiddetta teoria della “coincidenza culturale”. Ne sembra essere più fondata quella della “diffusione culturale”, tanto cara ad altri studiosi.
Si potrebbe obiettare che conoscenze tecniche, agricole , architetturali e mitologiche simili fra i vari popoli del mondo potrebbero essere il prodotto di scambi di idee avvenuti in occasione di viaggi esplorativi e commerciali, ma ciò non spiegherebbe la similitudine temporale degli avvenimenti , sopratutto prendendo in considerazione le Americhe.
Comunque sarebbe irrisolto il problema di decidere quale cultura avrebbe dato vita all’altra: un quesito del tipo prima l’uovo o la gallina?
Eppure proprio le analogie fra alcuni popoli amerindi come i Maya, Aztechi ed Incas con popoli di origine medio-orientale come Sumeri, Assiri e Babilonesi, o dell’area nilotica, come gli Egizi, fanno venire più di un dubbio su tali ipotesi.
Punti in comune…
Tutti questi popoli hanno in comune alcuni elementi:
A) sono costruttori di piramidi o pseudotali: le prime costruzioni a gradoni egizie, le ziggurat numeriche e i templi a gradoni dei Maya hanno in comune la forma piramidale, seppur, negli ultimi due casi, tronca;
B) tutti questi popoli sono amanti delle costruzioni megalitiche, ottenute cioè con l’utilizzo di pietre, di calcare, granito o altro, in blocchi dalle dimensioni gigantesche, comportando così un onere di lavoro in più inspiegabile, sfidando persino i normali canoni raziocinali se confrontate tali opere con i mezzi a disposizione di tali popoli. I blocchi di Baalbek, le mura di Sacsahuaman in Perù, Tiahuanaco in Bolivia e La Sfinge e la Grande Piramide di Cheope testimoniano la riuscita di sfide che persino oggi, con tutta la tecnologia a ns disposizione, sembrano impossibili da eguagliare;
C) Identiche conoscenze astronomiche, talmente evolute da permettere loro di conoscere il cielo sopra le loro teste in maniera tanto precisa come l’uomo non vi è più giunto sino all’inizio di questo secolo, con la scoperta, per mezzo di potenti telescopi degli ultimi pianeti. Conoscenze che portavano tali popoli a concepire calendari di eguale durata e persino più precisi di quello adottato da noi oggigiorno.
Ed è proprio su queste conoscenze astronomiche che mi vorrei soffermare, poiché credo siano una prova inoppugnabile di una matrice comune a tutte queste civiltà, ma, allo stesso tempo, estranea ad esse.
Antica astronomia
La conoscenza astronomica in possesso delle grandi civiltà del passato è quasi sempre relegata, dagli studiosi, a bisogni inerenti il campo religioso e alla necessità di dare una datazione al tempo per ovviare ad alcune necessità strettamente di natura agricola, atte a determinare il tempo della semina, della mietitura, o dell’arrivo della stagione secca o di quella delle piogge, o ancora, come nel caso dell’antico Egitto, all’approssimarsi delle piene del fiume Nilo.
A mio modesto avviso, questo collegamento astronomia- agricoltura è molto flebile e abbastanza incongruente.
Abbiamo accennato, prima, che l’agricoltura pare affermarsi contemporaneamente in tutto il mondo circa 12000 anni fa, comportando così la nascita dei primi centri stabili di comunità di uomini, quindi la nascita dei primi insediamenti che poi diverranno le future città che daranno vita alla nascita di vere e proprie civiltà.
Prima di allora l’uomo paleolitico aveva vissuto in uno stadio semi selvaggio, vivendo di caccia e nomadizia, in piccoli gruppi sparuti, la cui esiguità non avrebbe permesso la nascita delle varie specializzazioni di mestiere.
Lo studio dell’astronomia e del percorso nel cielo, durante l’anno, delle varie costellazioni, comporta una conoscenza appropriata di nozioni matematiche e persino di trigonometria sferica, nonché capacità di osservazione scientifica e una strumentazione ad essa inerente.
Qualche riflessione
E’ abbastanza impensabile che l’uomo paleolitico, costretto ad una vita segnata dal fabbisogno di procurarsi cibo e riparo, e costretto a difendere il poco che aveva, oltre che se stesso, da altri suoi simili e dalle belve feroci, abbia avuto il tempo per concepire simili pensieri e idee, ne tanto meno possiamo pensare che uno o più individui, nel mondo, abbiano potuto avere la possibilità e la costanza di seguire, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, tutti i vari movimenti degli astri, grandi e piccoli nel cielo.
Ancora oggi i nostri contadini ( e credo che fosse così anche in passato) traggono i loro modelli informativi su tutto ciò che attiene l’agricoltura dall’ambiente circostante. I tempi della semina e della mietitura, dell’approssimarsi dell’inverno e dell’estate, sono “sentiti” in anticipo e determinati dall’attenta osservazione dell’ambiente circostante, come la fioritura di piante e alberi, il colore assunto dalla terra stessa, il comportamento migratorio di alcune specie di uccelli ed altro ancora.
Ancora oggi le piene del Nilo, in Egitto, vengono contrassegnate, tempo prima, dal comportamento nomadizio di alcune specie animali altresì abitanti le rive del fiume abitualmente.
Certamente il contadino osserva pure fenomeni celesti come le varie fasi lunari e solari, ma queste sono osservazioni giornaliere o quindicinali, che non comportano problemi di osservazione data la visibilità di tali astri (sole e luna), né un’attenzione duratura in un intero anno.
Astronomia, ponte diretto tra il cielo e il mare
E, allora, vi chiederete, a cosa serve l’astronomia?
L’astronomia, cioè la conoscenza della posizione e del moto degli astri nel cielo, in un tempo di osservazione anche lungo un anno, è una prerogativa di un’arte sì antica, ma sino ad oggi non considerata molto più antica delle grandi civiltà a noi note: la navigazione, in principal modo quella d’altura.
In mare aperto, senza vedere costa alcuna, l’unico mezzo, per il marinaio, per orientarsi e per sperare in un ritorno a casa era (ed è ancora) affidarsi all’osservazione degli astri del cielo. Siccome, per il moto del nostro pianeta, le stelle non sono mai nello stesso punto, è necessario, per ogni marinaio, oltre ad una perfetta conoscenza collocativa nella volta celeste dell’astro stesso, conoscere il moto apparente e il posizionamento dell’astro nell’arco di un anno.
(vedi altro articolo :http://www.pensolibero.it/antichi-marinai/)
Chiunque mastichi un po’ di marineria sa benissimo che uno strumento indispensabile per la navigazione sono le cosiddette Effemeridi nautiche, un registro in cui vengono segnate, giorno per giorno, per tutto l’anno, la declinazione delle varie stelle, in modo da fornire un perfetto strumento di osservazione per i rilevamenti nautici. Tale registro viene redatto anno per anno.
Una civiltà dal carattere marinaresco non può prescindere da tali conoscenze e, inversamente, tali conoscenze sono la linfa di una civiltà di tale stampo.
(vedi altro articolo: http://www.pensolibero.it/misteri-della-cartografia-antica/ )
Purtroppo per noi, ciò che sappiamo è che né i Sumeri, né gli Egizi, né i Maya, o gli Aztechi o gli Incas erano certamente popoli di grandi navigatori. Probabilmente gli Egizi, sotto il Faraone Necao, arrivarono a compiere il periplo dell’Africa, ma la loro ” ignoranza” nautica e astronomica (sempre riferito alla navigazione) è testimoniata dal fatto che tali improvvidi marinai non vennero creduti poiché affermarono che ad un certo punto il sole si trovava sul lato opposto!
Allora come spiegare tali conoscenze astronomiche?
Tra fantasia e realtà?
Perché non usare un po’ di fantasia per spiegarlo?
Infatti possiamo immaginare solo, finché non sorgeranno altre prove, un’antica civiltà, altamente progredita rispetto al resto del mondo paleolitico di allora, in possesso di conoscenze marinaresche e quindi di astronomia, notevolmente evoluta sul piano agricolo, pastorizio, metallurgico, nonché sul piano strettamente sociale e politico: la mitica Atlantide, o Mu o Lemuria che dir si voglia!
Una terribile catastrofe (vedi altro articolo: http://www.pensolibero.it/la-fine-del-pleistocene-e-il-diluvio-universale/ ) colpisce il mondo intero (il mitico diluvio) e in principal modo questa grande civiltà, che scompare inopinatamente. Piccoli gruppi sparuti , capeggiati da uomini dalla grande sapienza (i vari Viracocha, Quetzalcoatl, Kukulkan, Oannes, Osiride, Hotu Matua ed tutti gli altri semi-dei apportatori di conoscenze) approdano in varie parti del mondo, venendo a stretto contatto con le sparute rappresentanze di indigeni locali.
Insieme affrontano le problematiche del dopo diluvio (vedi altro articolo: http://www.pensolibero.it/il-diluvio-universale-tra-mito-e-realta/ ) e i nuovi arrivati, i superstiti atlantidei, insegnano i primi rudimenti dell’agricoltura e della pastorizia, elementi portanti per la futura sopravvivenza di tali gruppi, i quali, più in là negli anni, o forse nei secoli, daranno vita alle prime grandi civiltà.
Purtroppo, a causa del numero non elevato di persone sopravvissute di Atlantide, e condizionato dal minor contributo intellettuale e conoscitivo delle popolazioni locali, non tutte le conoscenze possono essere conservate. Non conoscendo dove siano, nei nuovi luoghi, giacimenti minerari, la metallurgia viene presto dimenticata.
Ricominciare da zero…o quasi!
Costretti a combattere contro un ambiente nuovo e ostile e dar la precedenza a problemi, come quelli della sopravvivenza e dell’alimentazione, cose prima elementari, come la scrittura, vengono abbandonate. I primi centri abitativi , per via di un generale innalzamento delle acque in tutto il mondo, vengono creati nell’entroterra, e allorché le acque si ritirano, questi insediamenti diventano di carattere principalmente terrestre, non rendendo più necessari di tanto l’arte della navigazione e le conoscenze ad essa applicate.
L’astronomia diviene uso e conoscenza di pochi iniziati (la futura classe sacerdotale) i quali ben presto ne dimenticano l’utilizzo principale, relegandola ad un ruolo strettamente divinatorio o oracolare. Forse il cielo viene osservato al fine di scoprire, in anticipo, i segni, in futuro, di un nuovo disastro.
Tali conoscenze marinaresche spiegherebbero forse anche la presenza delle famose barche egizie, ritrovate sepolte sotto la sabbia, a Giza, o le perfette conoscenze di idrodinamica applicate alle imbarcazioni degli abitanti del lago Titicaca, in Bolivia.
Questo è un quadro abbastanza attendibile di cosa potrebbe essere successo, e, credo, dia una spiegazione molto più plausibile delle conoscenze astronomiche dei vari popoli antichi.
Tra l’altro, se ciò fosse vero, spiegherebbe, in maniera indiretta anche la presenza delle varie misteriose mappe cartografiche dell’antichità, di cui io stesso ho trattato su un altro articolo presente in questo sito ( vedi http://www.pensolibero.it/misteri-della-cartografia-antica/ )
Chiudo con una semplice osservazione, dedicata agli amanti dell’ipotesi extraterrestre della genesi umana: l’astronomia non è solo un basamento della navigazione marina ma anche, e soprattutto di quella spaziale. Vi dice niente questo?