poverty

L’ipocrisia occidentale del “buon selvaggio”

Siamo andati avanti per secoli definendoli  “buoni selvaggi”. Dietro questa frase, che col tempo è diventata una dottrina di pensiero, abbiamo nascosto tutte le nostre ipocrisie occidentali. Li abbiamo schiavizzati, sfruttati, depredati, impoveriti,affossati culturalmente ed civilmente. Però al contempo sembravamo invidiosi del loro essere così “naturali” tanto per sentirci “moralmente” sacrificati nei loro confronti.
Abbiamo preteso, da tempi immemori, di esportare loro la nostra civiltà, la nostra religione, la nostra cultura e la nostra democrazia, infischiandocene di cosa pensavano, del loro retaggio culturale, delle loro radici. Pensavamo, egocentricamente, di essere noi il meglio a cui loro potessero aspirare. Eppure, spesso, le nostre libertà, le nostre ricchezze, le nostre sicurezze, si sono fondate sul rumore delle loro catene, sul sibilo delle frustate sulle loro schiene, sulle violenze perpetrate sulle loro donne, su ogni lacrima o goccia di sangue versata.

fame nel mondo
fame nel mondo

Siamo andati nelle loro terre e ce ne siamo appropriati e come sanguisughe ne abbiamo succhiato ogni linfa che potesse servirci. Li abbiamo considerati inferiori come se l’uomo non avesse bisogno di egual diritti e sacrosanti doveri. Abbiamo distrutto i loro dei per sostituirli con i nostri e laddove non bastasse, per convincimento, abbiamo usato torture e supplizi. Li abbiamo voluti deliberatamente ignoranti, ipocritamente sopportati, continuamente traditi. Ne abbiamo fatto una questione di pelle, addirittura segnandola in termini di olfatto. Ora è arrivata l’ebola, l’immigrazione (anch’essa selvaggia), l’Isis e le guerre e sembrano tutte problematiche che camminano su due gambe color ebano. Quelle stesse gambe che si spezzano ogni giorno nelle miniere del Botswana per estrarre i “nostri” diamanti oppure in Congo per estrarre il “nostro” Coltan per i “nostri “telefonini. E in cambio di tutto questo offriamo oggi loro false speranze,un illusione di libertà, creando una guerra tra poveri, i loro e i nostri. Li salviamo dal mare: giusto. Li accogliamo a braccia aperte: giusto. Li abbandoniamo, prima,dopo,sempre, al loro destino: ignobile. Dopo secoli abbiamo abolito le catene ma mantenuta la schiavitù in nome di un moralismo da strapazzo. Li lasciamo liberi in qualcosa: di ammazzarsi fra loro in assurde guerre tribali, di percorrere km a piedi per cercare un po’ di acqua in una pozza fangosa, di essere spadroneggiati dal ras locale che rapisce e violenta 200 ragazze, di vivere in capanne di fango o in bidonville di lamiere. Di lasciarsi mangiare dalle mosche, scheletri ambulanti piegati ad un destino segnato. children-663392_1280Li lasciamo liberi di vivere, se ci riescono , ma soprattutto di morire, tra la nostra indifferenza. Però basta questo per sentirci più puliti, in pace con noi stessi e con l’uomo di colore diverso che siede al nostro fianco. Oggi c’è un G7 europeo per ribadire che,sì, li vogliamo aiutare e  salvare ma che, no, non possiamo prenderci cura di loro nei nostri paesi. Che il problema lo risolva il primo paese dove sbarcano, mica è colpa della Svezia, Francia, Germania, Belgio se non possono essere fiondati direttamente sino a là dai loro paesi d’origine! Li chiamiamo, alla bisogna, fratelli,non sottileneando però che loro sono gli Abele e noi, invariabilmente, i Caino. Costruiamo commerci lucrosi sulla loro pelle, e poi indirizziamo la rabbia sociale, di popoli esasperati da una crisi senza fine, verso questi bersagli umani che diventano vittime da immolare all’altare della rabbia.Oddio, se solo riflettessimo sui nostri errori arriveremmo a percepire un nauseabondo olezzo: ma non proviene, come spesso vogliamo credere, dalle loro epidermidi, ma dal nostro ipocrita moralismo. E se invece provassimo a restituire a quelle persone , a quelle nazioni, parte di quello che abbiamo saccheggiato a piene mani? Se provassimo a costruire per loro le stesse certezze (istruzione, lavoro, sanità e giustizia) alle quali ogni paese del mondo non dovrebbe solo agognare, ma esserne fiero depositario e geloso custode? Forse è andare un po’ troppo lontano col pensiero: dopo tutto, quelle certezze stanno diventando un utopia anche per noi,quelli civilizzati. E, allora, abbiamo bisogno sempre di più di schiavi. Ma ci piace immaginarli come “buoni selvaggi”. E’ piu politically correct.

di Antonio Mattera

2 pensieri su “L’ipocrisia occidentale del “buon selvaggio””

  1. Sono pienamente d’accordo con te, quasi su tutto. Però mi domando Mandela non ha insegnato niente? I loro governanti che hanno studiato nelle migliori università americane e inglesi che adesso li governano che fanno? Sono capaci di presentarsi all’ ONU ( o ad altre istituzioni) per chiedere l’annullamento del Debito, ma non fanno niente per il proprio popolo. Io sinceramente non mi sento in colpa nei loro confronti. Mi spiace, ma chi li ha tenuti come coloni dovrebbero prendersi il carico di sanare certe situazioni. Non erano abituati alla libertà e non la sanno usare. In Congo si scannano tra tribù. Stessa cosa nello Zaire, in Tanzania (dov’è la mia bambina) ! Come si potrebbe noi aiutarli? Mi dirai, senza vendere le armi, ma lì non usano fucili ma asce e fuoco. Non vedo come poter sanare queste situazioni ancora tribali. E’ già difficile per noi accogliere chi scappa da una guerra, dalla fame! Credi il mio non è affatto cinismo ma semplicemente lo vedo un problema così ampio che ne potremmo parlare all’infinito senza trovare soluzione. E come hai detto tu..non si può imporre una pace con la guerra!

    1. Li potremmo aiutare, certo.Ma il percorso è lungo e non privo di difficoltà. Ci vorrebe una coscienza mondiale dove invece di andare per conto suo ogni paese ed avere organi inutili come l’ONU ci fossero un insieme di paesi che impedirebbero la nascita di dittature e oppressioni. E poi dovremmo non esportare il nostro modello ma capire quale è il migliore per loro, capendo culture,religioni, modi di vita e di pensiero. E’ inutile negare che li abbiamo sfruttati (forse noi italiani siamo quelli che hanno lasciato anche qualcosa e io ne faccio un vanto).E’ inutile negare che siamo grossa parte del loro problema e che proliferiamo nei loro problemi interni. So quando sarebbe difficile apportare cambiamenti perciò parlo di utopia e, in fondo, come puoi leggere, non credo che ci siano grandi speranze.

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