roma

Da Boston a Roma e ritorno

Premessa: tifo Roma.
Sinossi: tifare Roma significa essere abituati ad essere dei magnifici perdenti, occasionali vincenti, vaccinati contro gioie (poche) e dolori (tanti).

Ne ho viste di Rome, sono cresciuto tifando per lei da poco dopo l’umiliazione della colletta del Sistina, ho vissuto gli anni della Rometta di Anzalone, la magnifica epopea di Dino Viola e quella formazione che si recitava a memoria (Tancredi, Nela, Maldera, Ancellotti, Falcao,Vierchwood, Conti, Di Bartolomei, Pruzzo, Prohaska, Iorio). Sono passato dall’evaso Ciarrapico alla famiglia Sensi fino a Pallotta. Ho visto allenatori come Scopigno,Zeman, Giagnoni, Radice, Bianchi italiano e argentino, Boskov, Mazzone, Zeman. Mi sono innamorato di giocatori come Nela, Falcao, Di Bartolomei, Giannini, Conti, Voeller, Balbo, Batistuta,Totti, Aldair. Ho visto passare bidoni come Andrade, Renato, Cesar Gomez, Tomic. Mi hanno fatto sognare allenatori come Liedholm, Ericksson, Capello, Spalletti e il primo Garcia.

Ho gioito per due scudetti ( su tre, quasi un record!), qualche coppa Italia e qualche supercoppa italiana .Ho pianto per almeno un altro paio di titoli gettati al vento, finali di Coppa Campioni e coppa Uefa perse.

Ma ho sempre tifato Roma, sono sempre stato fedele a quei colori, a quella passione, pur sapendo che spesso e volentieri mi avrebbero fatto male.

Perciò ora mi posso rivolgere al Presidente James Pallotta, all’allenatore Garcia, ai dirigenti tutti che ieri, dopo l’ennesima figuraccia contro una squadra modesta come il Bate, hanno scaricato la colpa sull’ambiente e sui tifosi, rei di aver fischiato la squadra durante e dopo la gara, nonostante la qualificazione raggiunta in Champions.

Probabilmente a loro sembra strano che i tifosi fischino una squadra che raggiunge un obiettivo che mancava da anni. Probabilmente pensano che il solo riscontro economico sia la panacea di tutti i mali. Probabilmente non conoscono la storia della Roma e dei suoi tifosi.

I tifosi della Roma, pur attraversando il giusto ricambio generazionale, sono quelli delle trasferte di massa quando c’era da inseguire un sogno o quanto meno arrivarci vicino. Sono gli stessi che cantavano, negli anni ’80, il coro d’incitamento “Che sarà, sarà” dopo un eliminazione col Bayern. Sono gli stessi che, pur piangendo, incitavano la squadra dopo i rigori fatali col Liverpool. Sono gli stessi che si tassarono al Sistina, nel 1964, per permettere l’iscrizione della squadra, nel punto più basso della storia romanista.

Se vuoi tutto questo, devi meritartelo! Nei fatti in campo come squadra, ma ancora di più con azioni e parole fuori dal rettangolo di gioco, come dirigenti e uomini.

Inutili proclami, parole che lasciano il tempo che trovano, di queste cose sono stufi i tifosi della Magica.
Se ieri sono piovuti fischi e cori contro squadra, allenatore e dirigenti è perché la misura è colma!

Pur ringraziando la proprietà americana di averci risollevati da una crisi economica, non si può negare che il tifoso sia stanco da inutili proclami, sviolinate, mancanza di umiltà che negli ultimi anni sono diventati una costante di questa dirigenza, di questo allenatore, di questa squadra. Di fatto dimostrandosi solo aria fritta ad ogni prova dei fatti!

Ci sono valori, come la passione sportiva, che non possono essere comprati con un accattivante grafica sul web. Quei colori, quei simboli pulsano di un cuore reale benché al contempo invisibile. Un cuore reso vivo dall’unico tipo di sangue che riconosce: la fede del tifoso. Tutto il resto, marketing, web, sito, sponsor e altro sono un mondo freddo che non appartiene al tifoso se non ha prima di tutto la passione.

Cosa c’è da essere contenti in una qualificazione europea contro modestissimi avversari come il Bayer e il Bate, dopo aver preso valanghe di gol in ogni partita, dopo essere stati umiliati non solo a Barcellona ma finanche a Minsk? Dopo aver trascorso gli ultimi minuti ascoltando le notizie provenienti da Leverkusen, sperando che il Barcellona si comporti da squadra vera e non faccia un biscotto, incapaci di battere in casa il Bate e ringraziando il tuo portiere per non aver perso? E quando tutto questo è accompagnato da egual rendimento in campionato, da due anni a questa parte,dimostrando che non è l’eccezione ma la regola!

Gli undici lupi di Garcia sembrano sdentati, la chiesa al centro del villaggio si scopre abusiva, e le partite che non si giocano, ma si vincono, diventano realtà in un contesto di squadra senza un filo di organizzazione di gioco, per l’appunto!

Cosa credono Pallotta, Garcia , Baldissoni e Sabatini? Di essere esenti da critiche perché per loro l’odore del denaro viene prima dell’onore dei colori indossati? E chiedono identica veduta a quei tifosi che si sobbarcano sacrifici per seguire una squadra?

Ieri allo stadio non c’erano quei “fuck idiots” come li aveva apostrofati, anche giustamente, il signor James Pallotta. La curva Sud era fuori e i trentamila paganti erano forse famiglie, gente lontana dalle curve e dalle frange ultras. Gente stanca di vedere simili spettacoli e che ha, giustamente, esternato la sua rabbia.

Anche alla Scala capita di fischiare il tenore e l’opera che stecca. Lo fanno persone in smoking e con ben altri portafogli. Perché Mister Pallotta si incavola così tanto? Perché Garcia cerca nel pubblico contestante l’ennesima scusa invece di ammettere le sue colpe? Perché i dirigenti scaricano sul tifoso le loro colpe nella scelta di uomini in campo e fuori?

Eravamo convinti che la Roma fosse prigioniera di Totti e della sua fase calante, riscopriamo che Garcia l’ha curata da questo male per renderla dipendente dalla gervinite, in quanto il suo unico metodo di gioco e palla lunga e pensaci tu.

La Roma è romanità, di nascita o acquisita. Lo capisca Pallotta, portandone un po’ all’interno di una società che sta perdendo le sue radici.

Capiscano una cosa, dirigenti, allenatore e squadra. Il popolo della Roma, i suoi tifosi sono un villaggio orgoglioso, forse anche insolente nella sua fierezza. Secoli di storia permeano quel tipo di tifo. Ieri non c’era onore nella vittoria, così come capita da tempo. E questo i tifosi lo sanno, perciò fischiano. Si può vincere o perdere, ma essere orgogliosamente romani e romanisti.

Il tifoso romanista chiede di vincere, non lo pretende;non vi è abituato, dopo tutto. Ma che si vinca o si perda, chiede di farlo a testa alta. Può essere Cesare nelle vittorie o Muzio Scevola nelle sconfitte, ma non puoi chiedergli di essere Bruto o Ponzio Pilato.

I tifosi ieri hanno fischiato per orgoglio: ferito, umiliato, turlupinato dall’ennesima settimana di chiacchiere e proclami disattesi. I tifosi ieri si sono presi le loro responsabilità, quello che non fanno da tempo dirigenti, allenatori e giocatori troppo spesso prematuramente osannati.

Vittorie e sconfitte, nella storia della Roma sono un corollario. La Roma è una questione di cuore, di passione e di orgoglio.
Sembra che solo Pallotta, Garcia e dirigenti ancora non l’abbiano capito.

di Antonio Mattera

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