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Massacro di Pontelandolfo e Casalduni

dipinto strage Pontelandolfo
dipinto strage Pontelandolfo

Nell’agosto del 1861, a pochi mesi dalla nascita ufficiale dello Stato Unitario, si verificò un evento, nelle terre del Beneventano, rimasto quasi del tutto sotto silenzio per circa 150 anni: la cosiddetta strage di Pontelandolfo e Casalduni,due cittadine del Sannio.
Nell’agosto del 1861 era appena iniziata la guerra contro i “briganti”, guerra che poi tenne in scacco per parecchi anni l’esercito unitario, costringendo il governo di Torino a mandare e a tenere impegnati nelle terre meridionali appena occupate contingenti armati di diverse decine di migliaia di uomini e ad adottare provvedimenti legislativi estremamente restrittivi dei diritti civili nei confronti delle popolazioni meridionali.

I fatti accaduti sembrerebbero essere, almeno nella loro dinamica, ormai accertati; non è invece chiara la quantizzazione delle vittime umane.
Ad inizio dell’agosto 1861 le due cittadine erano passate, con spargimento di sangue, nelle mani dei “briganti” o, comunque, erano state sottratte al controllo governativo piemontese. Un reparto di circa 40 soldati era stato pertanto inviato in zona; fu bloccato e disarmato a Casalduni; tutti i soldati, tranne uno che riuscì a scappare, furono barbaramente uccisi.

Non appena informato dell’accaduto, il comandante delle truppe italiane, il generale Cialdini, decise un’immediata rappresaglia e ne affidò l’incarico attuativo al generale De Sonnaz, tristemente noto, per la ferocia delle sue campagne, come Requiescat; la colonna, di diverse centinaia di bersaglieri, inviata su Pontelandolfo era, in particolare, guidata, come si è appreso solo in questi ultimi anni, da un ufficiale di Vicenza, il colonnello Negri (per la cronaca, ogni anno a Vicenza si celebra una cerimonia in onore di questo signore e delle sue glorie militari; e tale usanza è continuata anche dopo che si è potuto accertare, nel 2004, che il Negri era stato il principale responsabile dell’eccidio).

Cialdini, un assassino definito eroe
Cialdini, un assassino definito eroe

Negri raggiunse Pontelandolfo e qui scatenò letteralmente l’inferno. Non fu fatta alcuna selezione di cose e persone riconducibili o meno ai “briganti”; i militari misero letteralmente a ferro e fuoco l’intera cittadina; tutte le case furono bruciate e, la povera gente, man mano che scappava dagli edifici in fiamme, venne fatta oggetto di tiro al bersaglio da parte dei .Furono violentate tantissime donne della cittadina in gran parte poi uccise. Furono trucidate anche persone che notoriamente avevano appoggiato il movimento unitario.

Negri
Negri

Questi i fatti certi, come da confessioni di soldati poi pentitisi e anche da dichiarazioni e denuncie fatte in Parlamento a Torino. Il dubbio resta sul numero delle vittime; qui le cifre sono “ballerine”: furono assassinate tra le 160 e le 1000 persone, secondo alcuni anche di più. Casalduni fu più fortunata, in quanto i suoi abitanti riuscirono a mettersi in salvo avendo saputo dei fatti di Pontelandolfo. La cittadina, invece, fu anch’essa totalmente distrutta.
Ai morti, in numero ricordiamo non accertato, va aggiunto un vero e proprio “esercito” di profughi, costituito da chi aveva salvato la pelle ma era rimasto senza casa,senza il proprio paese, senza nulla.
Il giornale fiorentino “Il Contemporaneo” pubblica alcune statistiche sui primi nove mesi della “libertà” piemontese nel Regno delle Due Sicilie: morti fucilati “istantaneamente” 1.841, fucilati “dopo poche ore” 7.127, feriti 10.604, prigionieri e arrestati 20.000, 3000 ex soldati deportati nel campo di concentramento di S. Maurizio (presso Torino), famiglie “perquisite” (saccheggiate) 2.903, case incendiate 918, paesi totalmente distrutti 14, paesi incendiati 5, chiese saccheggiate 12, sacerdoti fucilati 54, frati fucilati 22, comuni insorti 1.428, persone rimaste senza tetto 40.000.
A conferma della gravità degli eventi, nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, Giuliano Amato, presidente del Comitato dei Garanti delle Celebrazioni, ha dichiarato agli abitanti di Pontelandolfo:
“A nome del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, vi chiedo scusa per quanto qui è successo e che è stato relegato ai margini dei libri di storia”.

Casalduni_-_lapide_commemorativa_dell'eccidio
Casalduni_-_lapide_commemorativa_dell’eccidio

Si tratta di un riconoscimento ufficiale di quanto avvenuto e, soprattutto, una conferma di quanto su sottolineato, in relazione a come nelle scuole sono stati riportati tanti avvenimenti.

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Gli esecutori degli eccidi in Abruzzo, Campania, Basilicata e Calabria furono insigniti di medaglie e decorazioni. Probabilmente si trattò di una rivolta proletaria mai portata a termine e forse anche della prima guerra civile dell’Italia unita. Le violenze ingiustificate fecero scrivere a Gramsci: “Lo stato italiano era una feroce dittatura che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.
Ecco alcune testimonianze dell’epoca:
“”Una ragazza di sedici anni, legata a un palo in una stanza, fu oltraggiata da dieci bersaglieri, davanti agli occhi del padre, e poi uccisa. Due giovani, i fratelli Rinaldi, che durante un soggiorno napoletano si erano imbevuti di idee liberali, increduli di quella mattanza, ebbero il coraggio di presentarsi al cospetto di Negri chiedendo spiegazioni. Per tutta risposta, furono portati nella chiesa di San Donato, derubati di ciò che avevano indosso, bendati e fucilati”.
“Nicola Biondi, contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri. Costoro ne denudano la figlia Concettina di sedici anni, e la violentano a turno. Dopo un’ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. 11 soldato piemontese che la stava violentando, indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e la uccide. Il padre della ragazza, che cerca di liberarsi dalla fune che lo tiene legato al palo, è ucciso anche lui dai bersaglieri. Le pallottole spezzano anche la fune e Nicola Biondi cade carponi accanto alla figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro con il figlio in braccio mentre scappa, è bloccato dalle canaglie savoiarde, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono.”
Angiolo De Witt, del 36° fanteria bersaglieri, così scrive: “… il maggiore Rossi ordinò ai suoi sottoposti l’incendio e lo sterminio dell’intero paese. Allora fu fiera rappresaglia di sangue che si posò con tutti i suoi orrori su quella colpevole popolazione. I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza snidare dalle case gli impauriti reazionari del giorno prima, e quando dei mucchi di quei cafoni erano costretti dalle baionette a scendere per la via, ivi giunti, vi trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro. Molti mordevano il terreno, altri rimasero incolumi, i feriti rimanevano ivi abbandonati alla ventura, ed i superstiti erano obbligati a prendere ogni specie di strame per incendiare le loro catapecchie. Questa scena di terrore durò un’intera giornata: il castigo fu tremendo…”.

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