FERRUCCIO

FERRUCCIO, IL MAZZOLA SCOMODO

IL “MAZZOLINO”

«La verità/Arriva quando vuole, la verità/ La verità non ha bisogno mai di scuse/ La verità/ La verità è fatale, la verità/ La verità è che tutti possono sbagliare/ Devi sapere da che parte stare/ La verità fa male» (La verità- Vasco Rossi)

Il 7 maggio 2013 , 64 anni e tre giorni dopo la tragedia di Superga ( i numeri e le date nel calcio sono molto più di semplici corsi e ricorsi, sembrano seguire una sequenza di fato), si è spento Ferruccio Mazzola, figlio del grande Valentino che morì in quella tragedia insieme a una schiera di magnifici campioni.

Quindi, di fatto, Ferruccio è anche fratello del più noto Sandro, il “Baffo”, gloria calcistica nazionale e dell’Inter .

Mezzala o interno dalle buone qualità, il suo limite più grande forse non fu nella capacità tecnica e tattica, ma nel cognome doppiamente ingombrante che portava.

Non bastasse il padre, come metro di giudizio, Ferruccio doveva confrontarsi anche con il più celebre fratello.

Proprio per distinguerlo dagli altri due gli affibbiano il nomignolo di “Mazzolino”.

Ciò, però, non gli proibì, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, di fare la sua discreta carriera, in serie A e B, con Inter, Venezia, Lecco, Fiorentina e Lazio, con al quale arrivò a vincere lo scudetto del 1973-74, pur senza mai scendere in campo.

Chiuse la carriera concedendosi l’esperienza americana con l’ Hartford Bicentellians.

Una trentina di reti in carriera, ma quello più importante lo segnò quando appese gli scarpini ai chiodi.

O forse fu un autorete.

Dipende dai punti di vista, in un mondo, quello del calcio, dove la luce abbagliante di gesti tecnici e prodezze, successi e sconfitte, soldi e donne, hanno sempre un ombra, creata dalla stessa luce, fatta di errori e orrori, pratiche oscure e maneggi inconfessati.

In quell’ombra l’eroe e l’antieroe si confondono, si mescolano in qualcosa dai contorni indefiniti e gente come Ferruccio può segnare un goal oppure siglare la più clamorosa dell’autorete.

Dipende, più che dal tempo che dovrebbe recar giustizia, dalla percezione che ne avrà il tifoso, l’unico vero giudice incontrastato.

STORIA DI PILLOLE E CAFFE’

«Ho visto l’allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno ‘il caffè’ di Herrera divenne una prassi all’Inter. Non so con certezza cosa ci fosse dentro, credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Mio fratello ha paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri. E tutti quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, temono di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in TV, e così via».

Il goal di Ferruccio, o se preferite l’autorete, si sviluppa attraverso la trama di gioco di un libro (“Il terzo incomodo” scritto di suo pugno), l’assist di un intervista, l’intervento finale, bello o maledetto, di chi racconta verità scomode, buie, dolorose.
Se ci fosse un pubblico ad applaudire quel goal, probabilmente sarebbe formato dagli Armando Picchi, dai Giuliano Taccola, dai Bruno Beatrice, dai Saltutti, Ferrante, Mattolini, Longoni, Lombardi e Galdiolo fino a Giovanni Bertini, tutti morti in maniera “strana”.

Dal 1960 a oggi sono quasi 50 gli ex calciatori morti a causa della Sla, acronimo di Sclerosi laterale amiotrofica, senza contare quelli deceduti per tumore o altre problematiche che lasciano pensare.

Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».

Ecco qui ci sono talmente tanti indizi che impossibile non pensare che quelle pasticche sciolte nel caffè non siano da considerarsi prove.

Non solo doping, ma anche calcio scommesse,

Qualcuno dice che sia la rabbia e un senso di frustrazione a farlo parlare del mondo del calcio in quel modo, una meditata vendetta contro il sistema più che contro Tizio o Caio.

Forse è solo l’ennesimo grido di dolore rimasto inascoltato.

Forse è un consiglio sussurrato all’orecchio di quei tanti giovani che si approcciano al calcio: divertitevi, non cercate la gloria, l’effimero del tutto e subito a qualsiasi costo.

Gli faranno causa in tanti, come Massimo Moratti, chiedendo risarcimenti miliardari, ma lui ne esce sempre vincitore perché, come sentenziano i giudici : «Non è dato in effetti rinvenire alcun intento diffamatorio, né espressioni sconvenienti o offensive, né nei confronti della società attrice di cui non viene fornita un’immagine negativa, né dei suoi dirigenti, essendosi gli autori limitati a raccontare fatti – tra i quali il doping, il calcio scommesse, le partite combinate – ai quali in specie il Mazzola ha assistito o dei quali è venuto a conoscenza negli anni della sua attività».

Se ne andrà pochi anni dopo, anche lui colpito da un male, un anno prima lo ha preceduto Carlo Petrini, altro dannato del calcio, non quello inventore dello slow-food.

Ferruccio se ne va da galantuomo nella vita e da emarginato dal calcio, fragile nella sua onestà.

UN GOAL COME UN ‘AUTORETE

Con quella sentenza, forse, Ferruccio il suo goal più importante lo ha segnato, ma lascia questo mondo con la consapevolezza di chi passerà alla storia per aver sputato nel piatto dove ha mangiato, il Niccolai dei moralisti, quello che si è reso autore di una clamorosa autorete nel pianeta dorato del Dio Pallone.

Non è il 7 maggio 2013, 64 anni e tre giorni dopo suo padre Valentino, che su Ferruccio Mazzola si posa una lastra di marmo.

In verità è accaduto anni prima, allorché è stato sepolto, indesiderato e inascoltato, sotto mura fatte di silenzio e convenienza, di ipocrisia e ignavia, rendendolo oramai un uomo stanco, amareggiato e disilluso.

Allontanandolo dal più celebre fratello, Sandro, quello più bravo, quello più fico, che non gli perdonerà quel libro, quelle interviste, salvo poi redimerlo post mortem.

«Quelle cose, il caffè, le pasticche, sono vere» ammette , aggiungendo particolari raggelanti come i valori sballati, giramenti di testa sospetti, medici obiettori e medici consenzienti, oggi Sandro, alla bella età di 73 anni.

Un età che permette a tutti di diventare più saggi e meno calcolatori, anche in virtù del fatto che hai solide speranze di rincontrare Ferruccio, non a breve (che il Dio Pallone ci preservi lui e tutta una schiatta di più o meno campioni, testimoni di un calcio che non esiste più), ma nemmeno un tanto lontano futuro.

E allora, forse, hai voglia di guardarlo negli occhi senza vergogna,ammettendo che in questo “Mazzolino” è stato più campione di te.

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