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SOLLIER & BREITNER, A PUGNO ALZATO

A PUGNO ALZATO.

Paolo Sollier, Paul Breitner.

Il primo italiano, il secondo tedesco.

Eppure molto più simili di quando le distanze territoriali possano far credere.

Basterebbe notare il nome, identico.

Magari aiuterebbe sapere che entrambi sono stati calciatori, entrambi centrocampisti.

Il primo ha conosciuto una discreta carriera culminata con la seria A col Perugia, l’altro è diventato Campione del Mondo nel 74 e Campione d’Europa nel 1972 con la nazionale tedesca, più una sfilza incredibile di titoli con i club dove ha giocato.

Persino nel look potremmo trovare pallide somiglianze.

I capelli lunghi e la barba ribelle dell’operaio impegnato e in contrasto al Lulu’ di “La classe operaia va in paradiso” per Paolo Sollier.

Un casco di ricci castani e fittissimi, ed una barba ancora più folta, alla moda degli hipster anni ’70 per Paul Breitner.

Letture impegnate politicamente per entrambi.

Uno gira, Sollier, col Quotidiano dei lavoratori sotto il braccio, persino nello spogliatoio, adeguato al suo status di onesto pedalatore della domenica, lontano dai fasti di un Paul Breitner

L’altro, Breitner, sciorina a ogni occasione il Libretto Rosso di Mao, vezzo di chi sa di poter sostenere tutto e il contrario di tutto perché, in fin dei conti, non sei un comune Paolo Sollier.

Quello che però li accomuna ancor di più, oltre a una evidente fede politica di sinistra, è il loro modo di esternarla, sempre, non sempre solo nella vita, ma anche nel calcio, che dovrebbe essere un territorio neutrale, lontano da ideologie.

Entrambi entrano in campo, oppure festeggiano un gol, con un pugno alzato.

Quel gesto indica l’appartenenza a una generazione, quella che ha vissuto il periodo del fermento, non solo politico, del post ’68.

Una generazione, dagli studenti agli operai, passando di struscio nel mondo dorato del calcio, che amava definirsi “impegnata”.

Verrebbe da dire due calciatori, Paolo Sollier e Paul Breitner da “falce, calcio e martello”.

Le similitudini, tra Paolo e Paul, però, terminano qui.

PAOLO SOLLIER

«Andai a giocare in serie D con la Cossatese. Facevo l’operaio e il calciatore. Entrare negli spogliatoi, indossare maglia e scarpini, significava entrare in un altro mondo. Quello che stava accadendo nella vita di tutti i giorni, restava fuori. Poi mi rivestivo, salutavo tutti e tornavo nell’altro mondo»

sollier

Sollier è stato un buon calciatore, lontano dalle luci della ribalta.

Di lui ci si ricorda per la militanza nel Perugia in serie A e per quel suo professare apertamente una ideologia con quel pugno chiuso.

Che, poi, non era altro che una sfida anticonformista a un mondo bacchettone e ligio a canoni pre fissati.

Quel gesto era un gesto politico, non un vezzo, e aveva un continuo nella vita e nelle scelte di ogni giorno.

Al punto tale che Sollier non concedeva nemmeno un autografo in virtù di un pensiero che non vedeva il calciatore come icona di idolatria.

Lui, in quegli anni del boom economico, dove il calcio incominciava a diventare una moda da seguire più che uno sport di svago, era la scheggia impazzita, il bastian contrario, il Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento.

Quel suo pugno chiuso, il guscio nel quale custodiva, e rammentava agli altri e a se stesso, il suo pensiero, era la sua personale lotta al “sistema” sociale che imperava in quegli anni, un conformismo nauseante che aveva attraversato indenne gli anni di piombo, anzi ne era uscito rafforzato.

Facile quindi che quel pugno, negli stadi, fosse visto come un aperta sfida politica.

Tant’è che da una tifoseria certamente di destra, quella della Curva Nord della Lazio, Paolo Sollier venne accolto con uno striscione che diceva “Boia”.

Perché per loro Paolo Sollier era prima un nemico politico perché militante di sinistra e solo dopo un avversario sportivo perché calciatore del Perugia .

Paolo Sollier è una testa pensante in un mondo anestetizzato.

Scrive libri, Calci e sputi e colpi di testa, pubblicato nel 1976, nel quale il calciatore racconta la propria militanza in Avanguardia Operaia e descrive il mondo del calcio da un punto di vista alternativo rispetto ai colleghi.

Passa da fenomeno da baraccone da esibire nelle puntate della Domenica Sportiva a personaggio scomodo quando parecchi professionisti della carta stampata e dell’informazione dell’epoca capiscono che Sollier sapeva scrivere, e pensare, meglio di loro.

Perché da fastidio quella semplice verità che Sollier racconta in una breve frase «Dov’è scritto che un calciatore non debba avere idee?»

Per Paolo Sollier quel pugno chiuso è il mezzo per ricordarsi, giorno dopo giorno, nella vita e sui campi di calcio, chi era, da dove veniva e dove voleva arrivare.

E’ un segno di riconoscimento, un passaporto esistenziale.

Quel pugno chiuso,che lui agiterebbe di sicuro ancora oggi, gli ricorda che lui la tuta di operaio non l’ha mai abbandonata.

L’ha solo piegata e riposta nel borsone da calcio.

“Le idee le lascio ai giovani, io mi nutro ancora di ideali” dice oggi di sé Paolo Sollier.

PAUL BREITNER

Inutile soffermarsi sulla carriera.

Il Paul Breitner calciatore lo conoscono tutti.

Gran centrocampista, leader carismatico, giocatore che spesso, per il suo carattere ribelle e insofferente si è attirato l’antipatia degli addetti al lavoro (colleghi, giornalisti, allenatori), con evidenti ripercussioni sulla carriera.

Basti ricordare che segna due reti in due finali mondiali, nel ’74 su rigore nella vittoriosa partita contro l’Olanda e nell’ 82 nella sconfitta contro l’Italia.

Nel mezzo cinque campionati tedeschi, due campionati spagnoli, due coppe di Germania, una Coppa di Spagna, una Coppa dei Campioni, un Campionato del Mondo e un Campionato europeo.

Paul Breitner è del 1951, quindi un figlio di quella Germania divisa, ideologicamente e politicamente, non solo da un muro di mattoni.

Leggeva Marx, girava con il libretto rosso di Mao, sciorinava ideologie comuniste.

Per questo lo incominciano a chiamare il Maoista.

In quel pugno chiuso però, a differenza di Sollier, non custodiva solo il suo essere, il suo pensiero.

Nascondeva, bensì, anche le sue contraddizioni.

Perché, come ama spesso dire l’autore dell’articolo « quando l’uomo comunista incontra l’uomo egoista, l’uomo comunista è un uomo morto. Spesso trattasi di suicidio».

E Breitner, dopo tutto, è figlio di quella Germania che abbiamo detto, un concentrato di ideologia professata e politica nascosta.

Eh già, perché nonostante Mao, nonostante Marx, Paul Breitner, pur continuando ad alzare quel pugno, non si fece problemi ad accettare i soldi, parecchi, della squadra più di destra del panorama calcistico di allora, il Real Madrid dell’ultimo periodo franchista.

Tant’è che si attirò addosso le ire della banda Baader-Meinhof (che incarnò gli anni di piombo nella Germania degli anni Settanta) in quanto compagno traditore controrivoluzionario.

Così come non rinunciò a una ricca sponsorizzazione quando si trattò di tagliarsi uno dei suoi simboli, quella folta foresta che aveva per barba, per girare uno spot, ben pagato, per un dopobarba.

Forse il suo ultimo atto calcistico “politico” è stata la mancata partecipazione al mondiale ’78 in Argentina per protesta contro il regima del dittatore Videla.

Forse era solo, molto più semplicemente, per i contrasti con il selezionatore Schoen.

Ecco, a suo modo Paul Breitner era anche lui libero dal conformismo del sistema.

Ha coniugato la parola libertà intersecandola con il termine sopravvivenza, tutto qui..

Professava un ideologia senza però rimanerne schiavo, perché, a dispetto di Sollier, lui non aveva mai indossato una tuta che non fosse quella d’allenamento.

E il conto in banca faceva tutta la differenza del mondo.

Forse perché Breitner era sì comunista, ma anche pragmaticamente tedesco.

La politica, come la religione, riesce a rendere il calcio più umano.  Non più calciatori robot ma pensanti, capaci di esternare debolezze e idee. Di alzare un pugno chiuso e accettare un contratto miliardario oppure sedersi alla mensa con gli operai allo stesso tempo, attirandosi gli strali di una curva o di un gruppo terroristico. Rimanendo, fondamentalmente, Paolo Sollier o Paul Breitner

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